1970, l’Istituto ha da poco compiuto mezzo secolo di vita, il ’68 è alle spalle, si è all’inizio dei “caldi” anni ’70. Nelle immagini in bianco e nero appare un mondo diverso rispetto a quello a cui siamo abituati, con i completi e le cravatte portate fin dalle medie. E con le feluche da goliardi, con i quali i freschi diplomati tornano alla festa della loro scuola: “l ‘imposizione del berretto goliardico è il rito più lieto della tradizionale ‘Festa della Scuola’ che si celebra il giorno dell’Immacolata”. A festeggiare i maturati che intraprendono l’avventura dell’università è mons. Mario Mortin, che ne approfitta per tornare “per un momento alla spensieratezza dei suoi anni accademici”.
In quel momento il Barbarigo è ancora una scuola con convitto: il bollettino dà la notizia del completamento di dieci nuove stanzette singole e doppie per i maturandi, in luogo del dormitorio comune: “Finalmente sarà in parte accontentata la sete di indipendenza dei nostri convittori diciottenni… Ecco il raccoglimento, il silenzio, l’organizzazione, il gusto personale, lo studio e il riposo. Finito il fastidio di vedersi al lavoro, accanto ad un compagno, che non ha voglia di studiare, che disturba perché irrequieto di natura; finito il controllo del prefetto, mai disposto a capire che nella giornata ci può essere un’ora pazza e capricciosa. Finalmente soli con la propria coscienza del dovere”. Ma, si chiede alla fine dubbioso l’articolista, “sarà un reale vantaggio?”
Intanto nell’assemblea generale della FIDAE, in una cerimonia solenne, viene conferito a don Giovanni Apolloni il diploma di “benemerito della Scuola cattolica”. Un significativo riconoscimento nazionale per i 45 anni di ininterrotto insegnamento al Barbarigo di uno dei suoi personaggi più caratteristici, molto attivo anche nella Resistenza al nazifascismo, durante la quale viene pure arrestato.
La musica non è mai mancata al Barbarigo: il bollettino dà notizia dell’impegno di don Floriano Riondato nel “rilancio dell’antico flauto dritto, chiamato anche flauto dolce o flauto a becco”, introdotto nella scuola “per la relativa facilità con cui viene suonato”. Un rilancio dunque allo stesso tempo meditato ed entusiastico, anche se a imprimersi nella memoria degli alunni saranno soprattutto i ‘lanci’ del suddetto strumento, quando l’esecuzione non era condotta con il sufficiente impegno.
Al fuoco!
Alle sette del mattino di mercoledì ventinove ottobre ’69, don Gianni Magnabosco, il più mattiniero dei superiori, apre la finestra della stanza e vede un gran fumo uscire da tutte le finestre dei tre piani di aule scolastiche.
Corre in sacrestia, spaventa le suore, che lo attendono per la Messa. Non c’è la chiave della portineria, da nessun altro apparecchio telefonico si riesce a formare il numero 113, né quello dei vigili del fuoco. Suor Luciana corre a svegliare il sovrintendente generale ai lavori dell’Istituto. Vittorio parte in vespa e in poco più di cinque minuti arriva la prima grossa autocisterna dei pompieri. Lentamente le fiamme si ritirano nel sotterraneo donde sono partite, e lo spettacolo si riduce di proporzioni. Alle sette si svegliano i convittori e scendono a curiosare. Alle sette e trenta arrivano gli esterni e il muro dei curiosi rende difficile il lavoro dei vigili. Oltre mille studenti vogliono vedere, sapere… Nella confusione qualche birba calpesta la gomma dei vigili illudendosi di ritardare l’opera di spegnimento; qualche altro fa lo spiritoso e si lamenta perché soltanto tre aule sono temporaneamente inservibili… un po’ di vacanza fuori programma non nuoce ad alcuno! Invece no. Un vecchio dormitorio e qualche altro locale, vengono approntati rapidamente. Si incendiano le aule, ma non si “brucia” la scuola.
Non mancava che questa avventura per rendere sempre più allegra l’esistenza a chi deve sobbarcarsi alla fatica di tenere in vita l’amministrazione del Barbarigo!
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