Giovanni Grigolin, 20 anni, ex allievo del Barbarigo, oggi è iscritto al primo anno di medicina presso l’Università di Padova ed è volontario di Croce Verde Padova. A lui chiediamo quali sono le attività che la Ong sta intraprendendo per l’emergenza Coronavirus.

«In questo periodo delicato e completamente inedito, Croce Verde, insieme al Comitato Padovano di Croce Rossa e SUEM118, ha dovuto rimodulare il proprio servizio per far fronte all’emergenza COVID19 – risponde Giovanni -. Sono state disposte linee guida per la vestizione e svestizione dei dispositivi di protezione individuale necessari per proteggersi durante l’esposizione a casi sospetti o confermati di infezione da SARS-CoV-2. Nel periodo iniziale, Croce Verde e Rossa avevano a giorni alterni disposto un mezzo esclusivamente per pazienti COVID, ora gestito in toto da Croce Rossa, mentre Croce Verde provvede ai trasporti ordinari intraospedalieri, extraospedalieri, per diagnostica o dimissione come ha fatto anche in tempi non sospetti. Inoltre, rimangono attivi i mezzi a disposizione del 118 per l’emergenza sanitaria territoriale. Croce Verde ha messo in campo mezzi aggiuntivi per sopperire inizialmente alla chiusura dell’ospedale Santa Teresa di Calcutta di Schiavonia (servizio ora terminato a seguito della riapertura dell’ospedale) e un’automedica aggiuntiva sempre in servizio nella Bassa Padovana».

Cosa stai facendo adesso? Quanto tempo dedichi al volontariato e in che attività sei coinvolto?

«Io sono coinvolto nel servizio di Croce Verde soprattutto per quanto riguarda il servizio di urgenza-emergenza, con almeno un turno a settimana e un notturno mensile con la mia squadra (Squadra 4). In generale, noi militi volontari prestiamo servizio sia su ambulanze di soccorso che di trasporto, e gestiamo anche i trasporti per la rete STEN (Servizio Trasporto Emergenza Neonatale) nel Veneto centro-orientale, oltre che trasporti di pazienti critici intraospedalieri».

Cosa noti durante le attività? Qual è la situazione, al di là dei dati ufficiali?

«Rispetto a due mesi fa sono cambiate molte cose, per noi e per i nostri pazienti: è  difficile, soprattutto quando siamo coperti da una tuta bianca, maschera e visiera, far trasparire anche un filo di umanità nei nostri servizi, ma cerchiamo di fare del nostro meglio; pazienti e operatori sono tutti inevitabilmente toccati dalla paura che tutta questa situazione suscita, e alle volte sembra di vivere scenari surreali da film di fantascienza in cui, mentre preleviamo pazienti da qualche quartiere e siamo in tenuta completa, le persone si affacciano a guardarci dai balconi preoccupate che un giorno sia il loro campanello a squillare. Ovviamente tutto ciò è dato dal fatto che stiamo vivendo una pandemia mai vista prima e ci troviamo in uno scenario inimmaginabile prima di oggi, che ci mette di fronte a un mondo tutto nuovo.

Negli ospedali si cerca di combattere con tutte le armi a disposizione e la situazione è innegabilmente critica. L’asticella dell’attenzione è sempre altissima e ogni movimento e decisione vengono pesate e pensate.

Al di là di noi volontari che abbiamo la possibilità di decidere se prendere parte a quest’emergenza o meno, i veri combattenti sono i dipendenti del nostro ente e i sanitari tutti del SSN. Tristemente tutto questo zelo nel supportare le figure che quotidianamente sono al fronte contro COVID mi porta anche a dover fare una considerazione su come viene vista la categoria che un giorno sarà anche mia: per molto, troppo tempo il SSN è stato battuto e additato come malfunzionante ed acciaccato, ma ora sembra che, quasi a volersi smacchiare l’anima, nell’opinione dei più sia rinato un grande amore per la sanità pubblica e chi la gestisce. Ecco dunque che il SSN tutto chiede di non essere dimenticato una volta che la tempesta si sarà calmata. La sanità pubblica nella mia opinione è la massima espressione dell’umanità di un popolo e di uno Stato, perché si fa carico della sofferenza di chiunque chieda aiuto indistintamente. Questo veniva fatto anche prima di COVID, ma pochi l’hanno voluto apprezzare».

Hai qualche consiglio su come evitare rischi e sui comportamenti corretti da tenere?

«Per far fronte all’emergenza però non sono sufficienti gli sforzi della Sanità ed è richiesta la partecipazione della popolazione, cui viene ripetuto ormai come un mantra di restare a casa. I pochi consigli che mi sento di dare sono quelli ormai triti e ritriti di lavarsi spesso le mani ed uscire di casa solo per spostamenti necessari ed inderogabili. Dobbiamo agire come se fossimo tutti contagiosi e allo stesso tempo (questo lo siamo davvero) contagiabili. Non si tratta più di una banale influenza e non siamo di fronte a qualcosa che possiamo controllare da soli, ma dobbiamo sinergicamente muoverci verso l’uscita dall’emergenza che, sebbene sembri non arrivare mai, raggiungeremo».