Una vita passata al fianco delle persone che hanno scritto la storia della lotta contro la criminalità organizzata: da Rocco Chinnici, ideatore del pool antimafia, fino a Giovanni Falcone e a Paolo Borsellino. Tutti ammazzati nello stesso modo, uccisi da un’autobomba: e anche Giovanni Paparcuri stava per morire quel 29 luglio 1983, quando una Fiat 126 verde imbottita di esplosivo uccise il giudice Chinnici davanti alla sua abitazione, assieme ai carabinieri Mario Trapassi e Salvatore Bartolotta e al portiere dello stabile Stefano Li Sacchi.

Invece quel maledetto giorno Giovanni Paparcuri, che era alla guida dell’auto del magistrato, seppure ferito gravemente riuscì a salvarsi. E dopo aver lottato tra la vita e la morte rifiutò il congedo per continuare a combattere: “Abbandonare sarebbe stata una sconfitta troppo grande, per lo Stato e per me”. E per proseguire accettò addirittura di essere “retrocesso” di due livelli di carriera: da autista a semplice “commesso”.

Eppure anche così Paparcuri ha continuato a fare il suo dovere, dando come tecnico un contributo determinante nell’informatizzazione del maxi processo di Palermo. E soprattutto guadagnandosi la stima e l’amicizia di Falcone e Borsellino.

Oggi Giovanni continua a custodire la memoria, personale e civile, dei due magistrati: ha contribuito a creare e segue quasi quotidianamente il Museo Falcone e Borsellino di Palermo, mentre nel tempo che rimane va a portare la sua esperienza alle scuole e alle associazioni di tutta Italia. Così, accompagnato da don Alessandro Piran, oggi è venuto a raccontare la sua storia anche al Barbarigo. Un incontro che conclude un percorso didattico e spirituale annuale organizzato intorno alle figure di Falcone e Borsellino dal servizio pastorale del Barbarigo, preparato dalla visione del film sulla vita dei due magistrati e accompagnato dalle riflessioni diffuse ogni settimana assieme alle preghiere del lunedì.